Questa sezione raccoglie scritti, articoli, storie, usi e costumi
della tradizione cauloniese

           
     

  

 

     
     


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

" I tri sirati "

Con la Domenica delle Palme prendeva e prende inizio la fase culminante di tutto questo intensissimo periodo della vita religiosa dell'intera comunità cauloniese. Ancora oggi, nella mattinata di domenica, un corteo di uomini, donne e ragazzi, portanti tutti grossi mazzi di palme e rami di ulivo, muove dal sagrato della Chiesa del Rosario dirigendosi verso la Chiesa Matrice, dove dopo una suggestiva cerimonia inizia una solenne messa cantata con la lettura del "Passio". Terminata la lunga liturgia della Messa delle Palme ha inizio l'adorazione dell'Ostia consacrata esposta sull'altare della cappella di Sant'Ilarione. Per tutto il resto del giorno, così come nei due giorni successivi, ad intervalli regolari forti e secchi rintocchi del campanone ricordano a tutti i fedeli l'esposizione del Santissimo Sacramento. A sera, dopo che nel pomeriggio i fedeli delle parrocchie riuniti in cortei fanno la loro visita nella Chiesa Matrice, si assiste alle processioni delle tre serate.

E' a sera inoltrata che la giornata del Venerdì Santo diviene fortemente suggestiva, quando dalla Chiesa del Rosario in tono dimesso e quasi in sordina le statue della Vergine Addolorata e del Cristo Morto vengono condotte all'entrata della Chiesa Matrice. All'interno di essa, stipata di gente fino all'inverosimile, si consuma la nota cerimonia della "chiamata della Madonna".

Queste ultime, sono tanto importanti per la gente di Caulonia che il Prota, come é suo solito, ne fa una descrizione riccamente particolareggiata da cui emerge la rivalità che contraddistingue i fedeli confratelli delle due congreghe. Infatti, egli così si esprime:
< Le tre serate poi sono uno spettacolo di lusso, di gare e, qualche fiata, di tafferugli. Per la solennità delle Quarantore, tramontato il sole nei detti tre giorni, si dà principio alle solenni funzioni. Tutta Caulonia é nella chiesa matrice, divenuta più piccola per l'ingombro delle persone moltiplicate. E' uno sfoggio di abiti, di cappellini, di mode; é una aspirazione generale di vedere e di essere veduti, un'aspettazione ansiosa di quel che andrà a succedere tra le congregazioni rivali. Sfogata la sua vena oratoria il predicatore nel forbito sermone di circostanza, si intonano le solenni litanie, si comincia ad ordinare la processione, e togliendo il Sacramento dall'altare di
S. Ilario si porta all'altare maggiore, girando per la chiesa. Questa "gira"  (come la chiamano i cittadini), sebbene in così picciol luogo, arriva a durare fino a mezza ora a causa dell'incedere lento e dispettoso delle congregazioni. Accanite pretensioni di primato fervono tra i confratelli, gare e sfide sulla maggiore o minor grossezza delle candele. E passando dai pensieri ai fatti rallentano i passi, lasciano sfuggire qualche motto pungente, ed alle volte spinte, urtoni, aggrovigliamenti, levar di voci, minacce, deliqui, isterismi.

                                                    "E vò gridando:pace,pace,pace! >

Ancora oggi, durante le tre serate, anche se con toni meno accesi, torna di scena la rivalità tra i due gruppi di confratelli che fanno capo alle Congreghe delle Arciconfraternite dell'Immacolata e del Rosario.

"Tamarri" e "Scaravagghji" si contrappongono: i primi rivendicano la supremazia della parte bassa del paese, "jiusu", invece i secondi l'importanza della parte alta del paese, ossia "susu". Questa divisione della gente di Caulonia caratterizzava la vita sociale del nostro centro storico per tutto l'arco dell'anno, con una tensione crescente specialmente durante questo periodo. Si gareggiava sul numero dei presenti nel corteo, sulla grossezza della candela  e sull'eleganza del rocchetto (mantellina dell'abito di fratello). Ancora oggi, infatti, ogni appartenente alle suddette Confraternite indossa un abito formato da un camice bianco di cotone lungo fin quasi ai piedi, un cordone detto "cingolo" che finisce a sorta di grosso pon pon tutto di color rosso per i fratelli del Rosario, di color azzurro per i fratelli dell'Immacolata, completato  da un  lungo cappuccio bianco e un rocchetto (mantellina di velluto nero con greca dorata sempre per i fratelli del Rosario, di seta azzurra con frangiatura dorata per gli altri. Su tutte e due le mantelline, all'altezza del pettorale destro, sono attaccate, a mò di distintivo, due grossi medaglioni con l'effigie della Madonna del Rosario e dell'Immacolata, che noi, oggi, chiameremmo logo della confraternita).

Finita la funzione religiosa in ciascuna delle tre serate, dopo un'accalorata predica e la benedizione, i cortei delle due congreghe lasciano la Chiesa Matrice e rientrano nelle rispettive chiese dopo aver attraversato le vie del paese con i ceri accesi e cantato la litania della Madonna. All'interno delle proprie chiese con l'esecuzione del "requiem aeternam" e del "libera nos, domine" ha fine ciascuna delle tre serate.


Mercoledì Santo, nel primo pomeriggio, dalla Chiesa del SS. Rosario parte la "Via Crucis" che si avvale delle riflessioni del padre passionista di turno. Le quattordici stazioni della "Via Dolorosa" sono altrettanti pittoreschi slarghi del nostro centro storico e in ogni fermata si alternano momenti di preghiera e di canto.
A sera inoltrata nella Chiesa dell'Immacolata dopo una solenne funzione con predica dai toni a
grandi effetti inizia la cerimonia del bacio del Cristo.

  

 

A due a  due si avvicinavano, e così è ancora oggi, gli amici, i compari, i confratelli, i membri della "banca maggiore" e dopo una serie di riverenze, gli interessati si inchinano a deporre il loro bacio sul piede del Cristo tra l'intonazione del "populo meo" e la fragranza  degli incensi, a cui segue la imponente processione del Cristo alla colonna.

L'intero paese é sotto l'effetto dei rintocchi funebri dei campanoni delle chiese fino a quando la processione non raggiunge la suggestiva piazza Mese, nella quale echeggiano i mesti lamenti del "miserere" e la folla gremita assiste al passaggio della stupenda statua del Cristo.

La statua é una severa scultura lignea del XVII secolo. Forte é il sentimento religioso che ha sempre legato i fedeli al culto di questa immagine sacra. Non sappiamo da dove essa provenga, nè chi ne sia l'autore, comunque diverse sono le leggende che la riguardano.

Una di queste narra che una nave, proveniente dall'oriente e con a bordo la statua, si sia bloccata, come per miracolo, nelle acque prospicienti il nostro centro e che la stessa nave non si sia mossa fino a quando un gruppo di "massari", confratelli della Chiesa dell'Immacolata, non si sia recato sulla spiaggia e abbia barattato la bellissima scultura con sacchi di grano.





Un'altra leggenda narra come il Cristo della statua abbia parlato al suo artista una volta finito il lavoro e come lo stesso artista subito dopo sia morto andando, secondo quanto afferma la stessa leggenda, in paradiso. Pare che Gesù stesso abbia pronunciato delle parole con le quali si evidenziava come lo scultore, pur non avendo assistito direttamente alla passione del Cristo, sia riuscito a rendere la sacra immagine degna di intensa pietà. Quest'ultima leggenda farebbe entrare a pieno titolo questa stupenda scultura nei canoni dell'arte sacra promossa dalla Controriforma, secondo la quale un'opera d'arte doveva avere come prima peculiarità l'essere altamente didattica, così coinvolgente da trasmettere già col suo primo apparire un messaggio diretto e chiaro al pubblico. Per questo motivo un'opera sacra si concentrava su un tema, nel nostro caso "la flagellazione", e lo stesso veniva sviluppato in modo grandioso.

L'ideatore spirituale di questo modo di intendere una scultura, un quadro é Sant'Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti. Sant'Ignazio vuole che il fedele esalti Dio con tutto il suo essere: col suo cuore, con la sua intelligenza, con tutte le sue forze e dunque con ogni senso. Per ogni episodio della vita del Cristo, il nostro teorico pone ai fedeli la domanda "che cosa vedete? ", “che cosa ascoltate?", senza trascurare gli altri sensi: il tatto, il gusto, l'odorato. Non bisogna dimenticare che proprio lui é il padre di quegli esercizi spirituali che culminavano nelle estasi. Il Divino, più si materializza più si percepisce, più si rende concreto più lo si sente vicino. Si vuole spingere il credente nella storia in modo che viva gli avvenimenti come se fosse all'interno di essi e si ponga la domanda : "cosa farei io in quella situazione?".
Lo scopo della scultura barocca é un teatro moderno, senza distinzione tra attore e pubblico. Perchè lo spettatore si senta più vicino a Cristo, la scultura controriformata si accorda per assorbire lo spettatore nella scena dell'opera sacra. Per questo il Concilio Tridentino desidera una rappresentazione il più realista possibile dei vari momenti della Passione. Di conseguenza, il fedele-spettatore si riconosce facilmente nei personaggi a grandezza naturale ed é pronto a dichiarare il proprio atteggiamento verso il Cristo, sentendosi subito pronto ad evidenziare la posizione da assumere in quelle situazioni, in quelle storie dolorose.

Verso la mezzanotte con il rientro in chiesa anche la Processione del Cristo alla Colonna ha fine, ma l'intera giornata di Mercoledì Santo non passa fino a quando nelle vie del centro storico non si innalzi per l’ultima volta la misteriosa e cupa voce del "Paternostro".


Con il Giovedì Santo tutto è pronto per la Messa della Cena e per la visita ai Santi Sepolcri.

Da più giorni nelle chiese di Caulonia e in particolare in quelle delle due congreghe si ha un gran da fare per l' allestimento del Santo Sepolcro e fin dalla mattina le donne portavano e in minor misura ancora oggi portano " il grano del sepolcro ", un vaso o meglio ancora un grosso piatto di portata ( vacile ), usato per le conserve, contenente semi di grano o di legumi ( lenticchie, ceci e in particolare cicerchia) germogliati e fioriti con la particolare coltura a buio. Detti semi, nei loro contenitori, ricevono l' umidità dentro la stoppa di ginestra, oggi sostituita dal cotone e venivano rinchiusi al buio dentro cassapanche (casciuni) in prossimità della Domenica delle Sante Anime del Purgatorio per essere in rigogliosa fioritura il Giovedì Santo.
Le  massaie secondo l' usanza, sempre per il giorno delle Anime del Purgatorio, riponevano i salami, ormai essiccati, dentro i "manali", vasi di creta smaltata, per poi iniziare la degustazione subito dopo lo scampanellio festoso della Resurrezione.

Il "grano del sepolcro" è quello che presso le città magno-greche veniva conosciuto come il giardinetto di Adone; interessante tale accostamento, anche perchè l' uso dello stesso era molto diffuso presso gli antichi locresi e il mito di Adone, dio della fertilità, principio maschile della produzione, era collegato al mito di Afrodite, principio femminile della fecondità.
Adone era rappresentato come un bellissimo adolescente pieno di vita durante la Primavera, ma destinato a soccombere alla canicola estiva per poi rinascere per merito di Afrodite dopo il lungo e oscuro periodo invernale.

L'associazione a culti del mondo magno - greco e a riti delle antiche civiltà italiche non si limiterà solo a questo caso e tutto ciò dovrebbe far pensare a come tanti nostri riti, sopravvissuti per secoli, addirittura per millenni, e che hanno origini così remote, stiano ormai scomparendo, distrutti da un veloce e frenetico processo di  omogeniezzazione che necessariamente cancella, in nome di un ipotetico progresso, la cultura, le tradizioni e le radici delle nostre popolazioni. Profetico era stato P.P. Pasolini nel lanciare il suo monito, avvertendoci che molto in fretta avremmo abbandonato la nostra civiltà contadina per essere inghiottiti da un rapido processo di industrializzazione.

Al tramonto, l'ultimo squillo delle campane prima del silenzio previsto per la morte di Gesù avvertiva che si era pronti per la messa della cena. Per tale cerimonia ci viene in aiuto il Prota, il quale nell'appendice del suo lavoro "Ricerche storiche su Caulonia" scrive un'interessantissima pagina, in cui si accenna ad un’ulteriore pubblicazione dal titolo “Usi e costumi del mio paese”, mai pubblicata, e nella quale, sicuramente, oggi avremmo avuto un altro prezioso contributo e una vivissima testimonianza di tante nostre tradizioni:

<La cena consiste in una splendida agape, imbandita nella chiesa il giorno di giovedì santo. Sulla tavola di Fiandra é imbandito quanto di più ricercato si possa ritrovare in Caulonia per vasellame, porcellane, biancheria, argenteria, tutto disposto, come dovessero banchettare dodici principi. A ciascuna posata in argento sta bello e servito un discreto piatto di dolci; e dopo la rituale lavanda de' piedi il celebrante benedicente l'agnello(che peraltro é di pane di spagna) in un vassoio di argento e circondato dalle bibliche lattughe. Fatta poi la distribuzione dei piatti col relativo tocco di agnello e un bicchiere di vino a ciascun apostolo, nella chiesa stessa si servono i dolci alle gentildonne intervenute, e si acquietano i piati della genterella, porgendole qualche confetto>.

Antologia di foto sul Caracolo



Periodo di quaresima quale racconto, ovvero
i riti della settimana santa cauloniese.
Il Caracolo

di Gustavo Cannizzaro

www.caulonia2000.it - Marzo 2001


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