Questa sezione raccoglie scritti, articoli, storie, usi e costumi
della tradizione cauloniese

           
     

  

 

     
     
 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

" A chjiamata da Madonna "

Dopo la lavanda dei piedi e la benedizione degli agnelli pasquali anche a Caulonia inizia quello che a Napoli é conosciuto con il nome di "Struscio".

Un'atmosfera di mestizia invade ancora oggi le nostre chiese e subito essa si spande tutta intorno per riempire di sè l'intero abitato, si assiste ad un andirivieni di gente, si cammina lentamente come se si volesse trascinare (strusciare) i piedi: si visitano i Sepolcri. Particolarmente suggestivi i due allestiti nelle chiese delle congreghe. Anche tale allestimento forniva, (ora molto di meno), elemento di rivalità fra i due schieramenti religiosi. Il silenzio regnava sovrano, nelle chiese oltre lo "struscio" dei piedi e dei lunghi abiti, si percepiva il biascicare di qualche orazione e di tanto in tanto si alzava uno struggente canto da parte di qualche anziana donna, disposta a “ fare la nottata”, quando la chiesa rimaneva aperta per l'intera notte. L'alba di Venerdì Santo vedeva avanzare con passo lento e solenne due cortei di fratelli, tutti fasciati da una corona, ottenuta da un cespuglio irto di spine, che dalle nostre parti era (ed è) chiamato "spina santa" o meglio "spina santara". La stessa si poteva inoltre ottenere usando i ramoscelli dello "sparacaro"(asparago), i cui germogli teneri, se non colti per fare   delle appetitose frittate o buone insalate, con il passare dei mesi sfioriscono e piano piano si trasformano in cespugli sempreverdi irti di spine. Alle tre del pomeriggio dello stesso giorno nella Chiesa dell'Immacolata inizia la cerimonia delle tre ore di agonia, dove le ultime "sette parole", pronunciate da Gesù prima di morire, sono spunti per momenti di canti, orazioni e riflessioni, per concludersi con la messa detta del presantificato, da noi nota con il nome “missa a storta”.
La messa viene privata della consacrazione e quindi della comunione, sostituite entrambe dalle "lamentazioni", mentre nel prefazio si legge il vangelo di San Giovanni.

E' a sera inoltrata che la giornata del Venerdì Santo diviene fortemente suggestiva, quando dalla Chiesa del Rosario in tono dimesso e quasi in sordina le statue della Vergine Addolorata e del Cristo Morto vengono condotte all'entrata della Chiesa Matrice. All'interno di essa, stipata di gente fino all'inverosimile, si consuma la nota cerimonia della "chiamata della Madonna".
E' durante questa funzione che il padre predicatore dà prova di ogni sua capacità oratoria. La sua predica tocca il culmine quando, dopo aver chiamato la "Croce" e l' "Ecce Homo", invita Maria "a prendere suo figlio in Croce". Si assiste a questo punto a un momento di drammatizzazione che ha quasi del teatrale, poichè la commozione umana si innesta alla "pietas" cristiana .Il pesante portone della Chiesa si spalanca e la Madonna fa il suo ingresso. Dopo una solenne "gira" per le tre navate della Matrice, prende avvio la mesta processione del Venerdì Santo

Le note struggenti delle marce funebri più famose accompagnano l'Addolorata e il Cristo morto seguiti da tutta la gente di Caulonia. La processione si snoda per le vie della parte alta del paese e a notte tarda rientra nella Chiesa del Rosario dove con voce corale tutti i fedeli si stringono nel canto "i dolori   della Madonna".

Con quest'inno anche i nostri canti toccano il culmine, il loro momento più alto e più suggestivo. Il canto, all'interno delle diverse funzioni, ha un'importanza senza pari in quanto concorre a rendere sempre affascinanti ed emozionanti i riti della settimana santa cauloniese. Il nostro modo di cantare é una sorta di nenia, che, anche se eseguita in maniera rude e, oserei dire, stonata, riesce ugualmente ad essere gustata (sicuramente dalla gente del posto).Sono corali, dalla struttura molto semplice, che nelle voci maschili(tenorili e soprattutto baritonali) si basano su toni gravi, mentre in quelle femminili   (sopranili) su toni acuti, caratteristiche proprie del nostro modo di parlare. Tutti questi canti trovano   una loro peculiarità in una certa espressione lamentosa e nel contempo elegiaca, con frasi arricchite   da gemiti, che per noi esprimono il dolore. Il loro ritmo é molto lento, senza il rispetto di particolari regole, con ritornelli che ripetono sempre la stessa cadenza; tutto sommato, ripeto, sono di struttura molto semplice e di facile orecchiabilità, ciò non di meno, se ad interpretare questi corali sono persone più dotate, i motivi ottengono una loro armonia che rende più aggraziata la canzone. A guida del coro era (ed è), generalmente, un esponente del clero e, in sua assenza, una persona che si atteggiava a "corifeo", mentre tutti gli altri si accordavano rispettando il ritmo, la tonalità e le caratteristiche che questi imponeva.

A mezzanotte i fedeli, colmi di mestizia e molto compunti, rientrano alle loro case.


Colpi forti e sordi di mortaretti, nel primo pomeriggio di Sabato Santo, annunciano l'apertura degli "incanti".

Sono, questi, una sorta di asta, con cui la nostra gente, dietro una lauta offerta in denaro, si aggiudicava (e si aggiudica) l'onore di portare qualche vessillo, qualche oggetto sacro (Croce degli Spogliati, Candelabro) o una statua nell'imminente processione della "Passione".

Generalmente i mulattieri facevano sempre di tutto per assicurarsi il privilegio di portare a spalla la statua e le "lanterne" di San Giovanni, i "massari" la statua del Cristo alla Colonna, i ragazzi(i fedeli più giovani) si assicuravano la statua dell' "Ecce Homo", le signore e le ragazze, invece, le "torce" del Cristo alla colonna e del Cristo Morto con relativa statua  mentre, infine, la statua dell'Addolorata faceva di tutto ad aggiudicarsela chi era legato da un particolare voto. Spesso succedeva, ora molto di meno, che "l'incanto" andava oltre lo spirito religioso per divenire competizione per una vanagloria e prestigio sociale tra i concorrenti.

Le ultime grida del battitore di questa nostra asta aprivano (e aprono)  il rito originale e molto noto del "Caracolo" e con esso si toccava il momento massimo di tutto quest'importante periodo dell'anno di ogni cauloniese.

"Il Caracolo é una processione strana e tragicomica nei giorni di giovedì e venerdì Santo. Adesso é in decadenza, ma un tempo vi partecipavano tutte le classi sociali; e di caracolo si parlava per tutto l'anno, or preparandosi pel futuro, or commentando il passato. E' un'eredità dell'occupazione spagnola. Karacol in ispagnolo vuol dire chiocciola, e deriva dall'arabo Karhara girare e può applicarsi per zig-zag, ghirigoro.
Charneg nel suo volume Attraverso la Pampa così parla di una strada a zig-zag:
<cominciammo il valico del Karacol: e l'ultima salita. Essa é lunga, ripida, interminabile, e il suo nome di chiocciola gli vien da numerosi ghirigori che bisogna fare pei suoi fianchi per giungere alla cima>.
Intervengono a questa processione migliaia di persone accoppiate a due a due, secondo la condizione sociale, il sesso, l'età, la statura di ciascun ceto o corporazione.

La marcia si apre con un gonfalone nero, e una croce nuda fra due candelabri senza lumi. E' obbligatoria la raganella pei fanciulli, l'abito nero pei gentiluomini e le gentildonne, la corona di spine per tutti. Quando l'interminabile corteggio sbuca da un angolo della piazza maggiore, la Mesi, già gremita alle finestre, ai balconi sui tetti di spettatori, invece di attraversare di filata la piazza, e di entrare nella chiesa che sta nel lato opposto, ciò che sarebbe opera di cinque minuti, la testa della colonna rasenta il lato della piazza di rimpetto alla chiesa; ed invece di procedere verso questa, ritorna quasi sui suoi passi, volgendo la faccia verso l'angolo donde é venuta e offrendo il fianco alle file successive dei processionanti, i quali alla loro volta occupano le linee prima occupate da essa.

E così torcendo e ritorcendo, imprimesi a tutte quelle file parallele che si succedono, un movimento di va e vieni, che non si arresta, se non quando la Mesi é occupata da tutte le file dei divoti che prendono parte alla processione; e dopo averla solcata e risolcata decine di volte, finalmente si rientra in chiesa.
Questo pare incredibile in una piazza di una ottantina di metri, e pure a far questo s'impiega più di un'ora! Si portano in processione S. Giovanni, il Cristo alla colonna, l'Ecce Homo, il Cristo morto e l'Addolorata. I fanciulli fanno zirlare le loro raganelle, i tamburi sono scordati, le musiche eseguono marce funebri, il clero canta il miserere. E in questo zig-zag di file che si incontrano, si rasentano e non s'arruffano, quelle bandiere pensiglianti, quelle croci desolate, quelle statue che vagano come intontite tra lo sfarzo più esagerato degli abiti dei devoti, nonchè la procace bellezza delle donne, il raccoglimento degli anziani, i motteggi dei giovanotti e diciamolo, quell'ordinata confusione rendono quello spettacolo unico e curioso."

Vivissima la pagina del Prota sul Caracolo: ancora una volta lo storico di Caulonia é riuscito a dipingere un nitido affresco della realtà, tanto da far ritenere inutile una nuova descrizione della processione più importante dell'intero anno liturgico cauloniese. Dalla lettura di questa bellissima e suggestiva  pagina ci colpisce il modo con cui l'autore si accosta ai nostri riti, che parrebbe a prima vista irriguardoso specie quando esordisce con l'aggettivo "tragicomico", ma che a una lettura più attenta e approfondita risulta essere tutt’altro, e cioè l’atteggiamento di chi vuol mantenere il distacco e l’obiettività dello studioso. Nonostante, nel passo riportato l’autore sottolini, già dal 1913, il declino di tale processione, noi possiamo vedere come ancora per tutti gli anni cinquanta essa fosse in auge.

Dalla bella descrizione si ricava non solo l’etimologia del termine “Caracolo” e il percorso della processione, una volta giunta in piazza Mese, ma essa, nel ricordarci che con tale funzione siamo di fronte ad un’eredità “dell’occupazione spagnola”, ci consente anche di cogliere la sua singolarità di processione barocca, specie quando in piazza il corteo con i suoi continui "ghirigori" produce una serie di ellissi. Sempre il Prota in modo sintetico e preciso ci fa uno spaccato della società cauloniese a lui contemporanea e con un'esatta scelta di termini riesce a darci un'attestazione documentaria. Sicuramente con questa stupenda pagina abbiamo il primo cortometraggio sul Caracolo; certamente il nostro regista si serve della parola scritta e non fa uso di cinepresa per ovvi motivi. Ora ci fa sentire lo "zirlare" della "raganella"(la tocca), ora "i tamburi scordati", quindi ci fa vedere "le bandiere pensiglianti", le "croci", il "vagare delle statue" e l'atteggiamento dei devoti e della gente che assiste: tutti elementi che rendono tale spettacolo "unico", "curioso".

Ci meraviglia come il Prota così minuzioso nel suo descrivere citi  solo cinque delle otto statue di questa processione.

La cosa appare strana, anche perchè le tre statue non menzionate, Cristo all'orto, Cristo sotto la croce e Cristo in croce, tutte della congrega di "jusu", facevano già parte del patrimonio religioso cauloniese e del resto, lo stesso Prota nel suo lavoro pubblica una foto del Caracolo di un Giovedì Santo su cui non é difficile individuare la statua di "Cristo all'orto"; per cui non si riesce a capire come mai non abbia aggiunto nel suo elenco le tre statue. Dal medesimo scritto apprendiamo che il Caracolo é una processione del "giovedì e venerdì santo", mentre ora noi sappiamo che con la nuova liturgia esso ha luogo il pomeriggio di Sabato Santo.
Fino ai primi anni cinquanta del XX sec., il calendario della settimana santa si sviluppava secondo il programma seguente:
il Mercoledì Santo non proponeva la processione del Cristo e il Giovedì Santo intorno alle ore nove del mattino presentava il Caracolo con tre delle quattro statue dell'Arciconfraternita dell'Immacolata (Cristo all'orto, Cristo alla colonna e Cristo sotto la Croce); intorno alle ore undici iniziava presso la Chiesa del Rosario la Messa della Cena e quindi subito dopo, nel primo pomeriggio, la visita ai Sepolcri. Nel tardo pomeriggio nella Chiesa Matrice si svolgeva la funzione delle “Tenebre” e a sera con la chiamata della Madonna iniziava  la processione del Cristo Morto.
Il Venerdì Santo era occupato dalla visita dei Sepolcri, dalla messa "non consumata" e quindi, con la chiusura dei sepolcri, la spoliazione degli altari e l'eliminazione dei drappi viola dalle effigi sacre, prendeva il via il grande Caracolo. Il Sabato Santo era il giorno della "gloria", e verso le dieci del mattino, sempre nella Chiesa Matrice, principiava la cerimonia culminante a mezzogiorno con il risveglio delle campane e la Resurrezione del Cristo. In attesa dello squillo delle campane di Pasqua molta gente di Caulonia teneva in mano una "posta" (tocchetto) di una di quelle salsicce, ulteriormente essiccate dal lungo periodo di astinenza, e all'esplodere del suono delle campane si iniziava a gustare lo squisito boccone senza dimenticare di pronunciare l'espressione "Groglia sonandu, sazzizzu mangiandu". Naturalmente sulla tavola di ogni buon cauloniese, in quel santo giorno, non mancavano oltre i salami, l'agnello, il buon vino, le gelatine e la ’nguta, dolce casareccio a base di farina, zucchero, sugna (strutto) e uova, a forma rituale e decorata con un uovo dall’evidente valore simbolico. Sempre a mezzogiorno di Sabato Santo, in attesa della "gloria", (spara a gloria) tutti i ragazzi stavano appesi allo “stantaloru” (architrave) di una porta o alla ringhiera di qualche balcone di un piano rialzato e meglio ancora alle sbarre della vecchia balaustra  di piazza Mese, perché secondo l'usanza i più piccoli essendo penzoloni al primo squillo delle campane avrebbero facilitato la crescita del proprio corpo intercalando il verso “ groglia sonandu ed eu allongandu” ( in periodi in cui le nostre altezze non erano molto elevate ciò voleva dire molto).

Dopo l'improvviso e festoso scampanellio di tutte le campane, un curioso personaggio,” u sciummicaturi”, portando una sorta di turibolo con dell'incenso acceso si introduceva nelle nostre abitazioni a togliere il malocchio, recitando a tal fine, con suoni piuttosto incomprensibili, la seguente formula:

"Occhju e malu occhju,
e s'é puru magaria,
vattindi fora da casa mia.
Santu luni, santu marti,
santu mercuri, santu jovi,
santu vennari, santu sabatu,
dominica i Pasca
e l'occhju 'nterra u casca"

Come si può notare, le  due nostre anime, pagana e cristiana, continuavano a vivere in forme di forte sincretismo.


Questo era l'antico rituale, prima della riforma avvenuta negli anni cinquanta, e così si trascorreva l'intera giornata di sabato fino alla domenica di Pasqua, quando la "Svelata" faceva prorompere di umanità l'intera piazza Mese.

Antologia di foto sul Caracolo



Periodo di quaresima quale racconto, ovvero
i riti della settimana santa cauloniese.
Il Caracolo

di Gustavo Cannizzaro

www.caulonia2000.it - Marzo 2001


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