Questa sezione raccoglie scritti, articoli, storie, usi e costumi
della tradizione cauloniese

           

 

 

 

 

 

 

 

 

 





"Carnevale è il re dei ghiottoni, e ricompare tutti gli anni in Febbraio, per morire d'indigestione nelle piazze dei paesi tra lo scherno del popolo. E' proprio il mese in cui si ammazza il maiale. L'aria è piena di grugnito e di fumo grasso delle caldaie spalmate di sugna. Per le strade, ad ogni imbocco, è drizzato su due forche il maiale, fra i curiosi che notano quanto pesa, e guardano le lunghe strisce di grasso incise sulla cotenna senza una goccia di sangue, bianche. Poi arriva Carnevale, con delle decorazioni di salsicciotti, e catene e cordoni di salsicce. E' destinato a morire d'indigestione, ma fino all'ultimo crederà di guarire mangiando fette di grasso. Il popolo intanto balla per le strade e per le piazze: il contadino si è messo l'abito a falde da avvocato, e il signore si veste da contadino. Tutto il paese, una volta tanto si cambia la parte e il vestito. Carnevale, in groppa ad un asino, ben imbottito di paglia, è buttato in mezzo alla piazza e dato in fiamme. La massaia copre i vasi di carne con la sugna e appende i rocchi di salsicce che consoleranno le lunghe stagioni di lavoro".

Come sempre Corrado Alvaro sa darci una giusta e poetica sintesi della ricca stagione di carnevale. In essa traspare l'amore che questo illustre "figlio di Calabria" ha sempre saputo versare sulla sua terra, sulla sua gente e su ogni nostra tradizione. Lo scrittore rende affascinante ogni atto umile e riempie di poesia il quotidiano, tutto ciò che agli occhi degli altri appare scontato. In poche righe ci fa capire l'essenza stessa di questo particolare momento, ciò che di caratteristico ha il nostro Carnevale e meglio ancora quanto lo differenzia dai tanti carnevali sparsi per il mondo.
Anche presso tutta la gente di Caulonia, carnevale e maiale andavano di pari passo e l'animale era uno dei simboli più "eloquenti" di tutto il periodo carnascialesco e nel contempo era fondamentale per l'alimentazione familiare. Esso costituiva il vero companatico per un anno: "cu si marita è cuntentu nu jornu, cu ammazza u porcu è cuntentu n'annu".Di solito il giorno propizio per la sua uccisione era giovedì grasso, epoca sempre di luna mancante.

Come prima ci ricordava il nostro grande autore, per quel giorno, detto "u jovi i guardaloru", tutto era pregno di "grugniti" e invitanti odori di "caddara" si espandevano dappertutto. "L'uccisione del maiale -come si evince da uno stralcio della tesi di laurea di Maria Cannizzaro - avveniva in quelle famiglie cauloniesi che lo avevano allevato nei mesi precedenti e le cui possibilità economiche ne avevano permesso il precedente acquisto. In periodi durante i quali, nel sud, alle classi contadine, aggiungere al loro abituale nutrimento la carne, era considerato un vero e proprio lusso, con il maiale era possibile sopperire sufficientemente a tale bisogno. Alla carne di maiale, infatti, debitamente insaccata, si poteva ricorrere per tutti i mesi invernali sino all'uccisione di un nuovo maiale,se di essa se ne sapeva fare, come d'altronde si verificava, la necessaria economia.Appare comprensibile ora perché il giorno dell'uccisione del maiale, in una famiglia, fosse motivo di festa e di allegria nonostante ciò comportasse notevole fatica per tutti i membri".

Si iniziava dai primi bagliori dell'alba, quando si accendevano i fuochi per far bollire l'acqua in una grande caldaia. Si aveva bisogno di tanta acqua calda e quando le prime bollicine salivano in superficie, il capo-famiglia tenendo in mano "nu scannaturi", (coltello particolarmente appuntito ed utilizzato esclusivamente per quest'uso), dava il suo colpo deciso accompagnandolo con la rituale espressione "morti a tia e saluti a cu' ti mangia!" cercava di raggiungere nel breve tempo possibile la carotide del maiale, per accorciare in tal modo la sua agonia.

Le urla si alzavano e riempivano di terrore i più piccoli di casa, che spesso incuriositi assistevano all'atto cruento stando attaccati alla gonnella della mamma e arricchendo inconsapevolmente il loro bagaglio di esperienze. Si faceva grande attenzione a fare uscire il sangue rapidamente, in modo che la carne rimanesse bianca e idonea all'essiccazione. Si provvedeva subito a liberare la pelle dalle setole, versando dell'acqua bollente e raschiando la cotenna con coltelli affilati nei giorni precedenti.

Spesso, mentre l'animale era ancora vivo, qualche calzolaio si faceva avanti per procurarsi le setole più dure (si preferivano quelle della parte superiore del collo) per poi utilizzarle tutte le volte che bisognava far passare lo spago, unto di pece, tra i fori delle tomaie. Ogni porco veniva avviato al luogo del macello tirato mediante una fune legata ad una zampa e lo stesso era preceduto da una persona che teneva in mano un piccolo paniere, "u panaredu", con dentro della ghianda rumorosa.

Il nostro uomo, scuotendo il paniere, di tanto in tanto si accostava all'animale per esortarlo a muoversi e con tono canzonatorio gli sussurrava in un orecchio:

"Cola, Cola, quandu 'ngrassi
e quandu mori, quali pedi tu ,mi dessi?
"

Lo sventurato andava al sacrificio estremo, come se già avesse vissuto un triste presentimento. Presso la nostra gente era credenza che la povera bestia nella notte precedente la sua immolazione avesse sognato di vedere il fatidico coltello riflesso nello "scifu" (truogolo).

Certo! Sono leggende, superstizioni, ma tutte piene di gran fascino. Siamo certi che "la storia del mondo, come le lettere senza poesia, i fiori senza profumo, o il pensiero senza fantasia sarebbe davvero arida e grigia senza le sue leggende e molte di esse, se pure smentite da centinaia di prove sicure, sono degne di essere ricordate per il loro contributo alla conoscenza dei costumi di un particolare periodo storico" (dal film Riccardo III).

 

Parte seconda>>   



Travestimenti, parrucche di stoppa, rossi pomelli,
neri mustacchi e maiali uccisi;
ovvero
periodo di Carnevale a Caulonia
di Teresa Giamba e Gustavo Cannizzaro
www.caulonia2000.it - maggio 2002


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