Questa sezione raccoglie scritti, articoli, storie, usi e costumi
della tradizione cauloniese

           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


<< Parte prima  
  
  
  
                                                                               
Parte terza >>

Una seconda leggenda, con momenti talvolta preoccupanti, racconta come un alto prelato disprezzasse tutta la nostra gente adoratrice di un "osso di bue" (i resti mortali di Sant'Ilario allora conservati in un teca di legno). Pare che in modo repentino il superbo bestemmiatore sia stato colpito da cecità ad entrambi gli occhi (tale atto ricorda la "ybris" classica, che scatena la "nemesis", l'ira di un dio nei riguardi di colui che osa sfidarlo). La storia continua col narrarci come l'infelice si sia subito ravveduto e una volta chiesto umilmente perdono si sia prostrato innanzi alla sacra reliquia.
Riavuta la vista non solo si preoccupò di diffondere maggiormente il culto del Santo, ma la santa "ulna" venne rinchiusa in una teca d'argento. Il reliquario, opera di un argentiere secentesco, tuttora custodisce ciò che rimane presso di noi dell'Eremita orientale.


L. Hjerace così lo descrive: <<… è a forma di braccio e poggia su di un prisma a base triangolare incisa e terminante con tre piedini. Su di una faccia laterale della base è inciso lo stemma della famiglia Carafa della Spina. Il reliquario è, con ogni probabilità dono di Carlo Carafa, il quale prima della nomina a vescovo di Aversa (1651), e poi cardinale fu arciprete della Chiesa Matrice di Caulonia, che 'arricchì … di Sacre reliquie ' (Padre Fiore). E' il Prota a supporre che tra queste sacre reliquie ci sia stata anche quella del braccio di Sant'Ilarione… Senz'altro però, il reliquario ricordato dal Frangipane fu eseguito prima che il Carafa fosse nominato Arcivescovo di Aversa, infatti lo stemma inciso su uno dei frontespizi della base è sormontato dalla corona marchesale, altrimenti vi sarebbe stato inciso il cappello cardinalizio>>.
Da un documento ritrovato da V. Najmo apprendiamo che già dai primi anni del XVII sec. le Sante Reliquie di Ilarione, chiuse in una teca di legno, furono consegnate all'Università di Castelvetere per essere offerte alla devozione di tutti i fedeli. Veramente straordinario questo connubio di storia e leggenda; tali documenti, sicuramente, contribuiscono a rendere sempre più interessanti le leggende fiorite intorno al Nostro Santo. Anche in tempi più recenti sono sbocciati fatti prodigiosi sul nostro grande Protettore. Si narra che nel corso della seconda guerra mondiale un aeroplano delle forze armate americane sorvolasse i nostri cieli per sganciare una bomba sul centro storico di Caulonia, quando i due piloti furono avvolti da fitta nebbia, sulla quale videro un "Vecchierello" dalla lunga barba bianca.

Caulonia fu risparmiata ancora una volta ad opera del suo potente Protettore!
Secondo le credenze, numerosi sono gli eventi in cui il Santo ha steso la Sua mano portentosa sulla popolazione: basta ricordare terremoti e altre calamità. Ma il fatto che Lo rese definitivamente popolare presso tutti i nostri contadini fu quello noto come il miracolo della pioggia. A tal proposito O. Di Landro così scrive "Il miracolo della pioggia, operato in vita da Ilarione ad Afroditon (secondo quanto dice Gerolamo nel cap. 22 della Sua opera) si ripeté a Caulonia (allora Castelvetere ndr.) il 14 maggio del 1855. per una straordinaria siccità il popolo desiderò implorare la pioggia del Santo Protettore, portando in processione fino al romitorio di San Nicola la reliquia. La processione fu decisa per il giorno tredici maggio e il 14 la pioggia arrivò puntuale, secondo la testimonianza dello stesso arciprete Davide Prota, che viene riportata a pagina 254 delle sue Ricerche Storiche su Caulonia, edite a Roccella Jonica dalla Tipografia Toscano nel 1913".
Con tale miracolo, anche il nostro Asceta entrò nel novero dei santi pluviali della Calabria. Sant'Ilarione, con Sant'Agazio in Guardavalle, San Nicola in Camini e i Santi Cosma e Damiano in Riace, nonostante siano tanto invocati per ricevere la tanto sospirata acqua, non sarebbero esenti da minacce e punizioni nel caso il miracolo non si realizzasse.
Strani riti questi, ma anche essi ci vogliono riportare indietro nel tempo, anzi agli albori della nostra civiltà.
  

Tutto ciò ci spinge, come evidenzia R. Corso, verso consuetudini più antiche, i riti di epoca pre-cristiana, quando gli idoli, in caso di non assolvenza, ne subivano le conseguenze. Presso alcune polis greche, il dio Pan veniva malmenato con la scilla tutte le volte che il nume non concedeva il suo favore (acqua in abbondanza). Un rito veramente originale, ancora oggi, si consuma nel mare di Guardavalle, quando la reliquia di Sant'Agazio posta in una barca viene sospesa da un religioso sopra l'acqua del mare pronunciando la formula:

"Santu Agaziu meu,
o mi vagni o ti vagnu.
Si non mi vagni tu, ti vagnu eu..
"

Un rito analogo avviene con i Santi Cosma e Damiano nel mare di Riace:

"Santu Cosimu e Damianu
o m'abbagni o t'abbagnamu..
"
E non a caso San Raffaele e Sant'Ilarione vengono definiti "animalucci d'acqua".
Pare che l'appellativo "animale d'acqua" fosse rivolto dalla gente di Roccella, tradizionalmente sempre avversa ai cauloniesi. Come si sa, mentre il roccellese è un pescatore (pisciaru), che da sempre ha voglia di bel tempo per svolgere bene il suo lavoro, il contadino di Caulonia era, invece, sempre desideroso di pioggia abbondante. Da qui la richiesta d'acqua dei cauloniesi anche con l'intervento miracoloso del suo Santo Protettore e di conseguenza il nomignolo poco rispettoso da parte del "pisciaru" roccellese.

In seguito al miracolo della pioggia, anche presso di noi si ebbe una seconda festa da tenersi ogni terza domenica del mese di maggio, ma quella che coinvolgeva maggiormente l'intera comunità cauloniese rimase la festa di ottobre. Essa culminava nei giorni di sabato e domenica. Il primo giorno dopo la messa delle sette, il corteo si muoveva e ancora oggi, nonostante abbia perso molto dell'antico rituale, si muove con l'arciprete vestito con ricchi paramenti liturgici e portando in mano il prezioso reliquiario, seguito dalla statua lignea accompagnata dai "pistunari".
Quest'ultimi, purtroppo da alcuni decenni per sempre scomparsi, erano simpatiche e originali figure di devoti, intorno ai quali il Prota scrive una delle sue più belle pagine: "Sono i pistoni grosse carabine a focone la cui canna non è più lunga di 60 cm ed il calibro di 3, con i lembi della bocca arrovesciati all'infuori. La polvere a chilogrammi, portata ad armacollo dentro zucche vuote, si introduce a manate i quegli ordigni infernali. Non si sovrappone tappo, ma la polvere si comprime, ricalcandola con grossi bastoni. Si spara, fermando il calcio del pistone al fianco e facendo, il "pistonaro", un giro intorno a se stesso dopo la detonazione. La festa è una tradizione de' tempi feudali, quando il marchese, feudatario di Castelvetere, mandava la sua squadra armata per onorare la reliquia del santo Protettore, che partiva per la montagna.

   In questa solennità qualche cosa di selvaggio vi è, e si conserva come nel cinquecento …, cioè una manifestazione rozza ed ingenua del sentimento religioso. E' la festa del protettore S. Ilarione, o San Ilario, come lo dicono i caulonesi … La mattina di sabato con modesta processione la reliquia, un'ulna incastonata in un braccio d'argento, (ed oggi anche la statua) partono dal paese. Alla porta della città il sacerdote celebrante consegna il prezioso cimelio al sacerdote cui tocca la disagiosa marcia fino all'eremo; e una gran ressa di popolo si addensa intorno alla reliquia. Ogni cittadino vuole imprimere un bacio su quell'osso, quasi dicendo: arrivederci. Buona parte degli intervenuti torna in città, ma i più divoti, preceduti da tamburi e cornamuse, proseguino pel santuario. Alla cappella del Calvario resta l'immagine ischeletrica del Santo ad aspettare il ritorno del braccio la dimani; il braccio continua ancora per tre ore, lungo sentieri alpestri e faticosi. E malgrado la fatica del viaggio quella parte di divoti che lo segue, canta all'unisono e senza interruzione questo semplice, ma sentito ritornello

Viva Ilarione!
Ilarione Viva
Viva Ilarione
E chi lo creò!

Interpolato di alcune altre strofe, che il popolino canta a modo di rosario. All'eremo la giornata si passa ad accumulare ceppi ed altro combustibile vicino all'ulivo miracoloso, che la sera dovrà bruciare senza consumarsi; la notte si passa gozzovigliando con la salsiccia di maiale e col vino- mosto della recente vendemmia. A mezza ora di notte s'appicca il fuoco alla pira e di tanto in tanto si balza di soprassalto per lo scoppio dei sopraggiunti "pistonari", i quali annunziano il loro arrivo con una formidabile pistonata. La mattina della domenica, mentre in città fervono i preparativi dell'accoglienza, all'eremo i "pistonari" avvinazzati, stracchi, e spavaldi, col pistone ornato di fiori e di ramicelli dell'ulivo miracoloso, si mettono al corteggio della reliquia che ritorna al paese. In cinque stazioni prima di arrivare (Gatto, Limbìa, Calvario, Fosso, Baglio) con fuoco di fila scaricano i loro boccacci, ed essendo quello il tempo in cui caricano più spietatamente, gittando a manate la polvere nelle armi, quelle canne, spesso di ferro fuso, scoppiano, portando via dita, mani, braccia ai malcapitati "pistonari".

E non è raro vedere inanzi alla statua marciare rassegnato ed altero uno di tali mutilati con gli arti fasciati e il viso sanguinante, mentre impugna tuttora l'arma fatale scheggiata e accartocciata. A quelle scariche che per cinque volte si odono da lungi risponde la città festante con cinque salve di mortaretti, di pietrere e (fino al 1848) di cannoni ancora. Verso la penultima scarica un distinto vocio di "arriva, arriva!" fa accorrere tutta la gente alle rupi per ammirare lo spettacolo dell'entrata. Il frastuono si fa schiamazzo; tutti i passi sono rivolti al Baglio.I fuochisti dispongono le loro micce, gli orefici e gli stovigliai prendono le loro precauzioni; il clero, le musiche, le congregazioni si avviano all'incontro, lo scampanio delle chiese permette appena ai più prossimi di sentire le note asciutte e monotone dei tamburi montanari che arrivano dalla campagna.

 

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Novene, scampanii, suoni e canti per Sant'Ilarione Abate
ovvero

Credenze e preparativi per il Santo Patrono

di Gustavo Cannizzaro
www.caulonia2000.it - Febbraio 2002


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