Questa sezione raccoglie scritti, articoli, storie, usi e costumi
della tradizione cauloniese

           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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  “Alivi e Agghjanda ad Augustu si domanda”
  E’ questo uno dei tanti proverbi che sentenzia come fin dal mese di agosto i nostri contadini   potevano prevedere l’andamento della stagione olearia.
  Se questa si presentava abbondante, nei troppiti (frantoi) aveva inizio il lavoro di molitura dai primi di   ottobre e lo stesso si protraeva fino a tutto febbraio.

  Cosa rappresentava il “troppito” per la nostra civiltà contadina?
  Forse era l’unico insediamento “industriale” che consentiva di poter esperire in loco, con rudimentali   “macchinari” la trasformazione del prodotto agricolo.

  Il frantoio nel suo organico aveva due squadre di 6 operai che con massacranti turni di 24 ore   rendevano continuativo il ritmo di lavoro.
  “Mizzotiro”, “Cannavaru”, “Paleri” e 3 “troppitari”, era questa la gerarchia che guidava il lavoro dei   nostri “troppiti”.




 l “Mizzotiru, sovrintendeva ad ogni operazione eseguita  nel frantoio, questi era coadiuvato dal “Cannavaru”,  addetto alla contabilità e alla cucina, mentre la  manzione del “Paleri” consisteva nel rigirare tramite una  ”pala” di legno le olive sotto la macina girata da un bue o  da un animale da soma, operai generici, invece erano i  “troppitari” che prelevavano il raccolto delle olive e dopo  averlo consegnato in olio riconsegnavano lo stesso alle  abitazioni dei singoli proprietari.

 Momento importante della vita del frantoio era il rituale  mediante il quale si attua la raccolta dell’olio che dopo  la macina nella “squeda” e l’operazione di pressatura  tramite il “consu” veniva raccolto nei “tinedi”, ovvero tini  di legno contenenti dell’acqua atta a tenere sollevato  l’olio.

 Alla presenza dei proprietari il “Mizzotiru” assistito dal  “Cannavaru” dava inizio alla raccolta dell’olio.

  Il “Cannavaru” con il primo mezzo “cafiso” ( 8 litri ) si pagava il lavoro dell’animale; a questa prima   misura si attribuiva la definizione di “tagghiatura”, assolta questa sorta di tassa, il “Mizzotiru   continuava la raccolta sempre con il mezzo “cafiso” che di volta in volta mutava denominazione: “ a   nome se di ddeo”, “a Vergine Maria”, “tutti i Santi”, “santu Nicola e quattro”, “cinque”, “sei, “setti”,   dopo aver assegnato l’olio scadendo i su citati mezzi cafissi, il rituale proseguiva con l’interpellare il   proprietario delle olive se intendeva pagare a “minuto” o all’ “ingrosso”.

  Al “minuto” si intendeva quando la conta si concludeva con i sette “mezzi cafissi” e in questo caso, il   proprietario pagava il frantoio con una “pignata” pari a 4 litri d’olio, all’ingrosso invece, poiché, c’erano   ancora olive da molire, il “mizzotiru continuava la sua conta partendo da “ottu” fino a “quattordici”   sicchè il quindicesimo mezzo cafiso era ciò che spettava al frantoio.

  Culminante momento della stagione olearia era la divisione della parte dell’olio rimasta al frantoio tra   il proprietario dello stesso e i troppitari, a cui faceva seguito un pranzo finale a base di capretto e vino   locale.

  Il gruppo si lasciava con l’impegno di trovarsi l’anno seguente e con l’augurio di un copioso raccolto   da poter prevedere fin dall’agosto successivo.

  Quest’ultime affermazioni e il detto popolare che introduce l’argomento di questo articolo fanno   chiaramente capire, già altre volte abbiamo avuto modo di accennarvi, come nel nostro mondo   contadino il sistema di vita in genere ed in particolare il sistema produttivo obbediscono ad una   ciclicità ben definita, organizzata, scandita nel tempo riutilizzata in modo da poter essere prevista e   controllata.

  Questo sistema così liturgicamente preordinato è sorretto e pervaso da una religiosità che è una   sineresi tra cultura cattolica, senz’altro presente in forma egemone e pratiche che sanno quasi di   magia.

  In un mondo dove nessun altro supporto può offrire garanzie è comprensibile il bisogno di una   sicurezza a livello psicologico contro “il negativo” che si avverte, “impotentemente”, incombente e   quindi anche il ricorrere a pratiche propiziatorie e talvolta esorcizzanti.

 

 

Alla riscoperta delle nostre radici:
Mizzotaru, Cannavaru, Paleri e Troppitari
di Teresa Giamba e Gustavo Cannizzaro
Corriere di Caulonia - Febbraio 1988

Un grazie a Luigi Briglia
per le s
plendide foto


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