Politico - Scrittore
           

 

 

 

 

 

 

 


 

Maria Verdiglione ha tolto il velo nero alle donne del Sud

di Paolo Catalano

 
  Avevo conosciuto la pittura di Maria Verdiglione quando ancora era avvolta nella rabbia della militante socialista quale lei era, quando nei suoi dipinti si sentivano gli echi delle occupazioni delle terre, quando si affievolivano gli ultimi echi dell'urlo delle vedove che imprecavano contro i padroni, contro la mafia e contro gli addii, quando il sangue era ancora fresco nelle campagne. Allora la sua pittura era denuncia, era ira, era ribellione, i suoi colori tragici riflettevano la disperazione degli animi, vi predominava il grigio, un impasto senza luce e senza speranza. Con questo ricordo sono stato a visitare la sua mostra( Siderno - lungomare - Sala Pro Loco dal 12 al 18 agosto 2002) e mi sono trovato inondato di luce, sulle ali delle farfalle, accecato dal sole di Corrado Alvaro nelle estati assolate che facevano ammutolire la natura tutta il cui respiro però era assordante e vasto quanto la storia sconosciuta di chi vi abitava da millenii. Mi sono trovato avvolto nella storia millenaria di un popolo solare, di un luogo dove il sole detta le condizioni, segna le giornate e i destini; dove le pietre raccontano storie terribili e meravigliose, dove finalmente le donne buttano via i loro veli neri, danzano nella luce, colorano un mondo troppo raccontato da chi non lo ha mai visto e danno la loro versione dei fatti che non è una versione semplice ed appagante, che non da ricette consolatorie, che scova la luce e cerca di penetrarla, che scopre i colori, ma non va molto lontano perché rimangono tutti i turbamenti e le incertezze, che sono più forti di quanto non lo fossero prima; pur tuttavia si dibattono abbagliati da quella luce troppo viva, troppo accecante. Le donne, avvolte nelle perle per indicarne la preziosità, diventano farfalle per indicarne la fragilità, ma anche per indicarne la bellezza e la bellezza diventa l'unica salvezza possibile, esse disegnano un mondo rarefatto quasi metafisico, libero dai bisogni e dalle solitudini e comunque modellato da bisogni e solitudini. Un mondo che ancora resiste da queste parti e di cui danno testimonianza per indicarne all'umanità intera una via d'uscita, un luogo da cui partire, un modello che potrebbe essere quello giusto per fuggire dalla nube nera che viene dall'Asia, per riscattare i bisogni del mondo, i bambini delle favelas, le stragi che si consumano nel Medio Oriente, per sfuggire ai cibi transgenici, per liberarsi dalle automobili, per ritornare ad Iris e al suo splendore. Si raccolgono infine, in struggenti maternità, dove è affidato ancora alla viva armonia dei colori e alla morbidezza delle linee il compito di guidarci all'origine della vita. Il mondo corre verso la sua rovina, tutti i ponti sono tagliati, non c'è più speranza? Domandatelo a chi lo vive giorno dopo giorno, ed allora qual è la strada? Quella del richiamo retorico ed inascoltato che si consuma giorno dopo giorno nei mass-media? Oppure quello della poesia, della musica e della pittura? Non è forse l'arte che ha tracciato nei secoli il cammino? Dai primi segni nelle grotte ai colori di Maria non resta che una speranza. Maria Verdiglione l'ha indicata con forza e con poesia. Almeno questa è la mia versione dettata più che da conoscenze dalle emozioni che ho provato davanti ai suoi dipinti.  

 


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