AVVOCATO ILARIO ASCIUTTI
L'ARPA DI CICERONE
di Alberto Scabelloni
 
           

 

 

 

 

 

 

 

 



 

ALBERTO SCABELLONI

 

L'ARPA DI CICERONE

EDIZIONE DE " LA PICCOLA TRIBUNA"
CATANIA

 

Culti cauloniesi - Copertina del libro
ILARIO ASCIUTTI
N. 13-7-1884 - M.11-11-1943
   

L'avvocato Ilario Asciutti, studioso di Teologia, economista di vaglia, cattolico professante, è stato uno dei fondatori del partito Popolare con Don Luigi Sturzo, suo amico carissimo.
Asciutti fu sempre antifascista, oppositore del regime, ha sempre professato la dottrina morale della Chiesa, non ha mai accettato compromessi nè favori dal regime, tanto da essere proposto per il confine; la morte lo colse negli anni della liberazione quando avrebbe potuto coronare il sogno della libertà e della democrazia.

*     *    *

    Chi non conoscendo di persona Ilario Asciutti, si imbattesse in lui, cioè in un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquanta, con certi baffetti a punta di spillo e vestimenta dimesse, non sospetterebbe certo due fatti importantissimi: trovarsi di fronte a un nobile autentico, milionario per giunta, e a un avvocato veramente magnifico.

Per sincerarsi intorno a questa seconda qualità basta guardarlo negli occhi grandi e buoni, pieni di intelligenza ed ascoltarlo in quel suo accento che ha la cadenza e il timbro del dialetto catanzarese; Caulonia, suo paese natìo, sta fra le provincie di Reggio e Catanzaro.
    Dotato di una vasta cultura giuridica, filosofica letteraria, è uno dei più forti e stimati penalisti calabresi. La parola è a disposizione rapida e completa del pensiero, ed è parola forbita, elegante, appropriata.
Studia i processi secondo il sistema degli antichi Maestri; è un temperamento di agile polemista, e agli avversari dona sempre filo da torcere, o prevenendone gli argomenti o svalutandone l'efficacia con un martellamento critico implacabile; e spesso adopera battute di una ironia fine ed aristocratica.
    Mi piace rievocare un sensazionale processo indiziario in cui sostenne le ragioni di parte civile pronunziando un' arringa formidabile ed ottenendo clamorosa vittoria.

UN PROCESSO TERRIBILE

    Certo Cricelli, seguito dalla moglie Vallelonga Rosa, che portava in braccio un lattante, si restituiva da Caulonia alla Contrada Cufò, dopo aver accudito a delle compere in paese, in una domenica del settembre 1921.
    Giunti i due coniugi in contrada Due Timpe, lungo il fiume Amusa, si accingevano alla salita sulla sponda destra del fiume, quando il Cricelli fu fatto segno a ripetuti colpi di fucile. La moglie si dette a gridare e si affrettò a raggiungere il ferito, ma anche lei fu colpita all'occipite da due colpi di rivoltella sparatile contro, a tergo ed a breve distanza.
    La sparatoria fece accorrere qualcuno dalle vicinanze, ma degli assassini nessuna traccia chè avevano celeremente guadagnato la macchia, lasciando il Cricelli già cadavere e la Vallelonga che appena si reggeva in piedi.
    Poco lontano, in due punti diversi, furono rinvenute delle cartucce già sparate. La Vallelonga interrogata non fiatò e nemmeno lungo il tragitto disse nulla. Solo al Pronto Soccorso del Dott. Domenico Bombardieri, riuscì a dire che tre persone avevano perpetrato il delitto e che in due di queste essa aveva riconosciuto certi Cerasara, e, nel terzo riteneva di identificare un cognato di essi.
    Tutto ciò fu detto a stento, a monosillabi e mentre il Chirurgo audacemente interveniva, operando la trapanazione e riuscendo ad estrarre due proiettili di cui uno premeva già, tra frammenti d'osso scheggiato sulle meningi iperemizzate.
    I tre sospettati furono tratti in arresto, ma offrirono alibi confortati da numerosissime prove, mentre attorno ai fatti si spandeva il silenzio dell'omertà.
II dibattimento alla Assise di Gerace, durato parecchi giorni, fu movimentatissimo. Asciutti, solo alla P. C. avea di contro Luigi Pera, Nicola Lombardi e l' avv. Scalise. Presiedeva S. E. Gagliardi e rappresentava il P. M. il Comm. Denza.
    Elementi positivi; il conquesto della Vallelonga per quanto tardivo; il fatto che l' Ucciso, che era sceso in paese armato di pistola, l'aveva lasciata in deposito nella calzoleria di certo Scuteri cui aveva detto che era costretto di viaggiare armato perché minacciato dal suo avversario, ma che stimava prudente non asportare l'arma nell'abitato perchè poteva esser perquisito dai carabinieri; il fatto ancora che i bossoli repertati erano identici a quelle delle cartucce rinvenute e sequestrate in casa di un secondo imputato e che costui aveva acquistato dall'armiere Michelizzi, con le cariche corrispondenti al calibro dei pallini estratti dal cadavere, nell'autopsia.
    La Difesa si appoggiava sugli alibi degli imputati, che il primo provava di essere stato alla trebbia in contrada Zomino a 8 Km. dal luogo del delitto sino ad un quarto d'ora prima che questo avvenisse, sicché sarebbe stato impossibile coprire in 15 minuti tale distanza; il secondo era malato e già da due giorni operato per adenite blenorragica ed impossibilitato a muoversi.
    Il duello forense si svolse in più riprese, con un succedersi di incidenti nei quali alla dottrina della difesa, resisteva instancabilmente la P. C. tanto che il presidente Gagliardi ebbe a dire che Asciutti, apparentemente agnello, diventava nei contrattacchi un leone (esattamente Gagliardi disse; « a vederlo non lo si pagherebbe due soldi, ma alla barra si trasforma talmente da imporre rispetto e talvolta suggezione ».
    Ricordiamo qualche episodio;
    Discutendo S. E. Fera sul valore indiziario e non probatorio del conquesto, si rivolgeva, benevolmente ironico, all' avversario che egli stimava moltissimo e che sapeva cattolico di convinzione, mostrando di meravigliarsi che un canonista eragerasse l'efficacia probatoria del conquesto, dimenticando lo insegnamento della scuola, in proposito !
    Ed Asciutti pronto: Se nel processo criminale canonico il conquesto aveva valore d'indizio ciò avveniva perché di esso ci si serviva, nell' istruzione, come mezzo tendente ad ottenere, attraverso la procedura inquisitoria, la confessione del reo indispensabile presupposto dell' accusa capitale. Cotesta sua funzione istruttoria non gli conferiva il carattere di prova. Nel processo penale odierno esso concorre, ex se, a formare la convinzione del giudice anche nel dibattimento e quindi, salvo a discutersene l'attendibilità oggettiva, è e costituisce una prova diretta, non meno efficace di qualunque altra prova.
    Il Fera, che aveva consentito all' interruzione, sorrise e non replicò.
    Quando il perito Dott. Bombardieri, valorosissimo chirurgo che fa onore alla terra di Calabria, dopo la sua relazione, disse: Dovetti operare di urgenza, senza anestatizzazione, e fu un miracolo che la Vallelonga sia sopravvissuta, Asciutti interrompe: Vigilava Iddio perché fosse conservata al lattante la madre ed alla giustizia la Nemesi !
    Nella discussione Asciutti dimostra deducendo dalla diversa topografia delle ferite, dalla diversa profondità delle stesse, dal diverso calibro dei pallini, che due dovettero tirare sul Cricelli da punti e da distanze diversi, dietro agguato predisposto; che un terzo, distante dai primi e più vicino alla Vallelonga, dovette tirare su costei col proposito di spegnerla per sopprimere una prova certa quando si accorse che essa aveva riconosciuto gli assassini.
    « Costui non continuò a sparare ed a scaricare tutti i colpi della sua rivoltella sulla misera donna perché fu atterrito dal non vederla abbattuta: forse ella si voltò a guardarlo ritta nel suo tragico dolore ed ebbra di vendetta, sollevando il figlio tenerello come una maledizione palpitante di fronte alla quale l'altro, a guisa di Lucifero davanti alla luce abbagliante dell' Arcangelo punitore, si parò gli occhi col braccio piegato indietreggiando nell' ombra ».
    Conclusione: Affermazione piena di responsabilità per tutti tre gli accusati.
    Eppure Asciutti, confessa nell'attesa del verdetto: « Sto alquanto a disagio alla P. C. e solo quando si tratti di processi indiziarii o che, come questo, abbiano degli aspetti emotivi che interessino, perché difficili o strenuamente dibattuti, mi provo alla lotta. Sento le sferzate dialettiche come un cavallo di razza nella pista: mi inalbero e riprendo sotto lo aculeo che mi incìta e mi eccita ed ho l' impressione come se una tempesta m'investa e mi costringa a durare e ad emergere sbracciando: è, insomma, l'effetto della reazione che mi sospinge e mi eleva; ma questo non è il volo. Punto per forza di bicipiti a terra, e vi rimango ritto come i Catalinarii senza cedere palmo, ma... non ho ali che tendano al volo...
    La difesa è più nobile, innalza, lascia più sereni, è più lirica !...
    L' avvocato dovrebbe soltanto difendere, non accusare o al massimo accusare quando ciò sia necessario per difendere, perciò non è esatto definire l'accusa privata come difesa di P. C.
    Ciò diminuisce il concetto della difesa che è funzione nobilissima, uguale se non superiore a quella del giudicare e tale da meritare quella considerazione che ahimè spesso le si nega. S'intende che ci vuol spirito d'indipendenza, di dignità, di rispetto di sé stesso, e della giustizia, nonché adeguata competenza , e preparazione per poter pretendere al rispetto altrui quando si difende, ma quando si ha la coscienza del proprio dovere, della propria preparazione e della nobiltà della funzione che si esercita, si può esser sicuri di trovare in altri la dovuta comprensione e possono ben trascurarsi gli atteggiamenti di sussiego e di pietosa tolleranza di facili compari o il giudizio in massa che s'intende, pur troppo, fare di tutti gli avvocati come di gente inutile, loquace, dannosa e chi più ne ha più ne metta salvo alla storia di fornire esempii... del contrario.
    Chè, se qualcuno, rara avis, con lunghe dicorse, vuote parole, argomenti insulsi infarciti di sgrammaticature e totale assensa di preparazione giuridica, riesce ad illudere per qualche tempo il pubblico incosciente, costui naturalmente, non potrà lamentarsi di essere tollerato nel tempio e, se anche prevaricatore, di esserne scacciato invano egli griderà... in gran dispitto... giacchè dalle sue opere sarà giudicato (!!) senza che per esso possa dirsi « ab uno disce omnes ».... come pur troppo si è solleciti ad affermare appena abbia a presentarsi la rarissima eccezione.
    Da codeste battute si spiega il perché della stima di cui Asciutti gode presso la Magistratura ed il Foro: egli non abusa; è sobrio nel parlare, accorto nella scelta degli argomenti e preciso nella esposizione delle questioni giuridiche, nelle quali, se convinto di aver ragione, batte senza posa, con fede, sino a vederle accolte e ne discute coi giovani colleghi dei quali egli è amantissimo ed ai quali, con paterna cura addita l'esempio dei grandi maestri di cui riferisce aneddoti, consigli, aforismi con inesauribile larghezza, appunto perché i giovani non dimentichino ed intendano che son chiamati non a trascurare il passato ma a collegarlo con l'avvenire ! ! !

PROCESSO CARISTO

    E' stato per molti anni Vice Pretore onorario di Caulonia ed ha reso alla Giustizia eminenti servizi, con dignità, scrupolo e coraggio encomiabile.

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    Una mattina di Agosto 1919 in S. Domenica di Placanica fu trovato morto, in un lettuccio che egli si era formato con strame di granturco e un lenzuolo sotto un albero di gelso poco distante dalle due case coloniche del fonduscolo, per potere attendere alla notturna guardia dei fichi in frutto, certo Caristo Vincenzo. Il disgraziato era stato ucciso nel sonno con un violento colpo di scure infertogli alla regione occipite-parietale sinistra, che gli aveva spaccato il cranio e spappolato la massa cerebrale.
    I Carabinieri di Placanica arrestarono due contadini, i fratelli Chiera, che avevano avuto alterchi con l'ucciso per ragioni d'interesse ed anche, si diceva, per causa di onore, sequestrando in casa di uno di essi, il quale per giunta aveva una figliuola quasi morente per tifo, una scure con tracce rossastre sul taglio. Furono usati contro i due sciagurati tutti i mezzi per farli cantare. Essi si protestavano innocenti, e, circa la scure, affermavano di averla adoperata per tagliare dei mattoni. Nonostante le proteste essi furono denunziati.
Asciutti accede sul posto con l'ufficio ed il perito settore, rileva i luoghi, constata che in una delle due case, quella più prossima al luogo del delitto dove erano riunite le tre figlie dell' ucciso e la moglie con le prefiche, solevano dormire le donne, mentre nell' altra casa più lontana, dormiva il figlio dell'ucciso ed il genero.
    Raccoglie le dichiarazioni delle donne: non udirono nulla; non sospettano di alcuno; appaiono reticenti e dubbiosi sul conto dei Ghiera; una di esse finge delle mosse isteriche quando vuole evitare di rispondere.
Raccoglie la dichiarazione del genero Bono Bruno. Costui spergiura di non essersi mosso dal letto nella notte. Il figlio dell' ucciso che dormiva con Bono nello stesso letto, si sarebbe alzato assai tempo per andare a Focà, ma sopraggiunge quando il cadavere del padre è rimosso e trasportato al cimitero per l'autopsia. Egli vuole accompagnarlo e vuole assistere alla sezione cadaverica insistentemente, senza lacrime... alfine sviene.
    Il perito conclude che la morte dovette essere istantanea e che l'omicida dovette servirsi di una scure pesante. Tali erano le scuri dei Ghiera. Il brigadiere sorride sarcasticamente. Asciutti fa ricercare tutte le scuri della casa. Sono quattro scuri comuni. Tutti dicono che non ve ne sono altre. Asciutti non si stanca, ripulisce ogni angolo della casa, fa rimuovere la paglia della pagliaia e, sotto un mucchio, infissa nel terreno cretaceo, si rinviene una scure arruginita... fuori uso, col cunietto dell'asola lievemente smosso.
    I reperti sono portati a Caulonia in pretura ed è subito ordinato il fermo e l'accompagnamento dei familiari del morto. Le prefiche non lamentano più. L'isterica urla. Suo fratello tace.
    Gli interrogatori si rendono sino a sera. Si accerta che in famiglia erano liti continue; che il morto aveva sperperato e pretendeva che la moglie acconsentisse alla vendita dell'unico appezzamento di fondo ancora rimasto. Prima di bruciare le tappe con gli interrogatorii dei due maschi, Asciutti interroga la scure... pesante. Nessuna traccia se non di creta. Rimuove il cuneo dall'asola, il legno del manico si stacca dal ferro che cade pesantemente sullo scrittoio e la verità occhieggia finalmente a traverso certi grumi scuri attaccati all'interno dell'asola. Una macchia ben rossa che si era andata a nascondersi sul legno presso l'intacco lasciatovi dal ferro, accusa qualcuno.
    Evidentemente la pulitura e, più lo strofinio nel terriccio per mascherare ogni traccia, non erano state sufficienti ad evitare che il sangue, sgocciolando per la curva del ferro andasse a cacciarsi, quasi una lagrima, dove non si sarebbe preveduto.
    Era tempo. Si ripigliano gli interrogatorii, prima del genero, poi del figlio che resiste... ma dopo due ore di instancabile martellare, alla vista del sangue che lo accusa... confessa di avere ucciso perché stanco di veder maltrattata la madre e condotta alla miseria la famiglia; perché il padre, il giorno precedente, aveva sparato delle pollastre che il figlio allevava per vendere, e se ne era fatto una scorpacciata...
    Asciutti senza attendere ordini, mette subito in libertà i due innocenti denunziati e telegrafa alla Procura del Re di avere, di sua iniziativa così provveduto, dopo la scoperta del parricidio.
    Al dibattimento il difensore volle fare dello scherno su cotesto provvedimento e qualche testimone di discarico insinuò che il V. Pretore era stato pagato dai Ghiera. Protestarono vivamente all'unisono Procuratore Generale e Presidente ed un verdetto di piena responsabilità chiuse la dolorosa vicenda.

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N. B. - II ministro guardasigilli Luigi Fera che già stimava l'Asciutti come libero professionista, per averlo avuto a fianco e quale avversario in importanti dibattiti penali, lo propose a cavaliere della Corona d'Italia in considerazione di particolari benemerenze nel campo giudiziario quale V. Pretore.


II PROCESSO CIRILLO PANETTA


    Nel 1921 fu denunziata la scomparsa di certo Piscioneri. Costui, già separato dalla moglie Tassone Cecilia, era stato per molto tempo in America ed era rimpatriato contraendo relazioni con certa Vallelonga che abitava nell'impervia contrada Schiavo.
    La madre dello scomparso affermava che il figlio voleva emigrare nuovamente e che erasi partito da casa con la valigia pronto a partire perché munito di passaporto. Aggiungeva che egli doveva avere appuntamento con la Vallelonga che avrebbe promesso di seguirlo in America.
    Dopo varie ricerche si riuscì a rintracciare la valigia che il Piscioneri aveva lasciato in deposito presso un minutante del paese. Nella valigia insieme con varii indumenti fu rinvenuto un completo armamentario per la cura della blenorragia: pompetta, siringhe, medicinali da iniezioni endouretrali, ecc.
    Asciutti, avuto il punto di partenza e pensando che fra l'uomo e la donna ci dovesse essere il terzo interessato, riesce a stabilire che la Vallelonga se l'intendeva con tal Cirillo Domenico, pessimo soggetto del luogo e molto vicino a Schiavo e che un tal Panetta, amico del Cirillo, faceva da ruffiano al Piscioneri ed alla Vallelonga, sicché fu facile supporre che, a mezzo del Panetta, era stato dato il famoso appuntamento.
    Ordinato il fermo del Cirillo e della Vallelonga che negano i loro rapporti, Asciutti li fa sottoporre a visita medica ed accerta che entrambi erano contaggiati di blenorragia sicché stabilisce genericamente il legame tra essi ed il Piscioneri, promovendo le ricerche sul luogo per rinvenire il cadavere dell'ucciso. Si esaminano tutti i punti dove la terra apparisce smossa e si cerca di sondare, calando dei Carabinieri nelle profonde fosse del « Portello di Schiavo » ma mancano le corde adatte e ci si deve fermare nell'attesa di averle.
    A questo punto il Giudice Istruttore, cedendo alle insistenze dell'avv. difensore, richiama a se il processo e il Vice Pretore è esonerato dalle indagini che sono assunte dal Pretore titolare sopravvenuto.
    Intanto il Panetta riesce ad emigrare e la Sezione di Accusa proscioglie i due arrestati per insufficienza di prove.
    Dopo ben 12 anni, venuto in Caulonia al Comando di Stazione, il Maresciallo Mura, funzionario intelligente ed esperto, ripiglia le fila già interrotte dall'Asciutti: su quella stregua fa nuove indagini riuscendo a rinvenire nella famosa forra dove erano state fatte le prime ricerche, i resti di uno scheletro col teschio che presentava fra i denti uno rivestito d'oro, come lo aveva il Piscioneri.
    La Sezione Istruttoria di Catanzaro ed il Sostituto Marasco completano l'iustruzione e nella requisitoria e nella sentenza di rinvio rendono omaggio alla perspicacia del primo inquirente Asciutti osservando che, se gli atti fossero rimasti allo stesso, egli sarebbe riuscito fin dal primo momento ad assicurare alla Giustizia i colpevoli.
    La Vallelonga infatti finì per confessare che il Piscioneri, recatosi a Schiavo per raggiungerla e partire con lei, era stato ucciso dal suo amante Cirillo con l'aiuto di certi Asteri e Panetta, e il cadavere era stato gittate nella fessura del Portello dove furono rinvenute le ossa.
    Il verdetto fu affermativo per tutti.




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